La Biennale di Venezia 2013

La tendenza verso arti non occidentali è stata confermata anche quest’anno: leone d’oro al Padiglione dell’Angola, la vasta presenza di artisti indipendenti cinesi, la prima volta di Tuvalu! Si può dire che l’intento “enciclopedico” di questa biennale è riuscito a costruire un “palazzo” globale delle culture. Tre giorni non sono mai abbastanza per Venezia, ma proverò comunque a fare una sintesi degli spunti più interessanti.

Aprire con Jung significa focalizzare subito l’attenzione sulle sensazioni più irrazionali e primitive. Primordiale, spirituale, sessuale e totemico sono gli aggettivi più ricorrenti tra le varie installazioni e pavillon. Che sia una generazione tumultuosa di nuove personalità o umanità? Dopo più di un secolo di decostruzione possiamo aspettarci un tentativo di ritorno alla creazione, come avviene per gli artigiani dell’innovazione della società globalizzata? Questa ricostruzione sarà riqualificazione (come spero) o neoproduzione (con quali materiali)?

La tematica di questa Biennale non può che rivelare l’importanza dell’Arte Tribale. Il tribalismo (o l’arte primitiva) è connesso alle sensazioni più basilari e ricorrenti dell’umanità, miste tra irrazionale e ancestrale, tra realtà interiore ed esteriore. Per questo motivo è possibile trovare un neo-primitivismo in molte installazioni (Sawada, Gusmao, etc.) e altrettanti padiglioni Occidentali (Rep. Ceca con l’esposizione delle maschere africane, Inghilterra, etc.). Il totem di Josephsohn all’entrata dell’Arsenale è topico. 

Entrance Totem at Arsenale by H.Josephsohn

Entrance Totem at Arsenale by H.Josephsohn

Nel quattordicesimo padiglione dei Giardini, inoltre, è esposta la collezione di H.A. Bernatzik di disegni del 1932-37 provenienti dal sud-est asiatico e dalla Melanesia. Una serie magnifica di bozze e pezzi provenienti soprattutto dalle isole Salomone. Tuvalu, primitivismo e questa collezione confermano un sempre maggiore interesse e autorevolezza per queste isole remote e le loro forme d’arte. Le uniche ad oggi ancora valutate non per “chi le ha prodotte” ma per il loro significato culturale e antropologico.

Bernatzik's Collection from Solomon Islands 1932-37

Bernatzik's Collection from Solomon Islands 1932-37

Infine, una menzione se la merita il padiglione israeliano (allestito da G. Ratman):  un insieme armonico delle espressioni d’arte storiche attraverso forme contemporanee. Un primo canale video mostra la ricerca di reperti in gallerie naturali. Un secondo canale mostra la registrazione delle voci di sculture di visi sofferenti, prodotte dagli stessi artisti che le creavano. Il terzo canale, ma posto all’ingresso e di particolare impatto, è il risultato della ricerca e produzione dei due video precedenti: un campionamento di queste urla ancestrali che si trasforma in musica elettronica tribale. Per di più il buco al centro del padiglione sembra farla sgorgare dal centro della terra, rinforzando l’istinto primitivo.

Intervista con Gilad Ratman alla 55. Esposizione Internazionale d'Arte (partecipazione nazionale di Israele).

Considero il padiglione d’Israele la risposta alle domande poste nel secondo paragrafo. Ovvero, una produzione artistica capace di unire e rielaborare differenti forme: antico e contemporaneo, primitivo e belle arti, proponendo così un nuovo sviluppo dialogando col passato nella sua spiritualità, senza la necessità di decostruirlo ulteriormente.